giovedì 30 aprile 2009
mercoledì 29 aprile 2009
"Yesterday" sperimentale al "Concerto perfetto"
martedì 28 aprile 2009
"Yesterday" querido al "Concerto perfetto"
Ecco il secondo nome del fastoso cast
dell'evento alla Casa del Jazz il 4 giugno 2009
dell'evento alla Casa del Jazz il 4 giugno 2009
De Sando partecipa al "Concerto perfetto"
Ecco il nome del primo artista del fastoso cast
impegnato alla Casa del Jazz il 4 giugno 2009
impegnato alla Casa del Jazz il 4 giugno 2009
domenica 26 aprile 2009
Alla Casa del Jazz di Roma il 4 giugno 2009
YESTERDAY:
Il concerto perfetto
Il concerto perfetto
Un evento unico nel suo genere nasce dal libro "Yesterday - 1965: la canzone perfetta". La Casa del Jazz ospita un concerto/spettacolo che, all'insegna del vario, vuole dimostrare come il brano scritto da Paul McCartney possa assumere climi e sapori diversi tramite l'interpretazione di musicisti che filtrano la mitica melodia con il proprio modo di fare musica. Il cast della serata è in via di definizione e sarà comunicato su questo blog il prossimo 15 maggio.
sabato 18 aprile 2009
Il titolo del Tour 2009 di Bob? “Dylan Quiz”
Chi conosce Dylan nella sua essenza di artista unico nel suo genere (o meglio, leader incontrastato di un genere) sa benissimo che assistere ad un suo concerto, ascoltare nuovo cd da lui realizzato o prendere atto di una sua rara dichiarazione, sono tutte operazioni che hanno un ampio margine di imprevedibilità. La conferma l’ho avuta dall’ennesimo concerto che sono andato a vedere lo scorso 17 aprile al Palalottomatica di Roma.
Accantonata la presunzione di conoscere assai bene il cantautore di Doluth (ho imparato l’inglese traducendo le sue canzoni e tentando di capire cosa volesse dire nei suoi testi) mi sono “apparecchiato” all’indigesto desco sonoro che anche questa volta ci ha preparato. Sia chiaro, lo definisco indigesto perché molto difficile da digerire, ma allo stesso tempo il suo concerto rimane comunque una prelibatezza che va assaporata con cautela (come la mitica pizza fritta che si mangia a Napoli, serial killer a piede libero dei fegati più sani, ma talmente “buona da morire”).
In perfetta sintonia con il protagonista, anche io mi concedo delle stranezze e comincio la cronaca dalla performance dalla fine, volendo immediatamente fornire un primo dato che è sicuramente sfuggito a tutti i presenti (quelli di Roma, quelli dei concerti passati ed anche quelli dei concerti futuri): i nomi dei musicisti che formano la band. Bob, in momento di grande magnanimità li ha presentati, ma ha così masticato i cognomi da rendere indecifrabile la relativa codificazione. Sul palco, quindi: Tony Garnier (bass); George Recile (drums); Stu Kimball (rhythm guitar); Denny Freeman (lead guitar) e Donnie Herron (violin, banjo, electric mandolin, pedal steel, lap steel). Un manipolo di veri “eroi” che, a fronte di un cospicuo guadagno, si confrontano da vicino con l’ostico Bob che, come è nel suo DNA, è capace di non scambiare una parola con i suoi compagni di viaggio per giorni e giorni. Costretti ad un look da man in black con obbligo di cappello, perché al band leader i cappelli sono sempre piaciuti, si barcamenano con maestria attraverso un canzoniere meraviglioso proposto con arrangiamenti in perfetto stile country rock, infestati dalla debordante personalità di un condottiero che suona una tastiera a modo suo (non essendo un tastierista), la chitarra a modo suo (non essendo un chitarrista) e canta le canzoni a modo suo (non essendo un cantante). Tutto quadra quando, in qualche momento, i valenti session man rimangono da soli, ma le cose complicano (e molto) quando Bob prende in mano la situazione e spariglia tutto.
Che Dylan sia famoso per le “rivisitazioni” che fa delle sue canzoni è un fatto noto da sempre, ma con il passare del tempo la fanatica pratica di “non far capire che canzone” sta suonando è stata portata all’estremo. Il titolo ideale di questa serie di concerti, a mio avviso, è: “Bob Dylan Tour Quiz”. Se Bob voleva vincere la sfida con il suo pubblico, questa volta ci è riuscito alla grande: decodificare canzoni come “Just Like A Woman”, “Desolation Row”, “Ballad Of A Thin Man”, “Like A Rolling Stone” o “Blowin' In The Wind” è stata un’impresa da “gocce di sangue alle tempie”. I ritmi? Cambiati. Le stesure dei brani? Cambiate. Le melodie? Cambiate. Se si aggiungono frasi sbiascicate, parole borbottate e sillabe sgranocchiate, anche capire i testi è diventato un cimento impossibile.
Tutto questo potrebbe far pensare ad un giudizio negativo sull’esibizione del sessantottenne cantautore americano ed, invece, no. Chi ama Dylan a prescindere da Dylan stesso che non ha fatto mai nulla per esserlo, anzi ha cercato in tutti i modi, fin dagli inizi della sua carriera, di demolire il suo mito, non può che essere soddisfatto di trovare il suo “mito” più in forma che mai, ostinatamente fedele a se stesso, esageratamente criptico e sfrontatamente conforme ad uno stile che non ha mai voluto compiacere il suo pubblico.
C’è un modo per rimettere le cose a posto e continuare a considerare Bob Dylan uno dei più grandi artisti del Novecento: assistere ad un suo concerto, faticare oltremodo a capirlo, tornare a casa e prendere i vecchi dischi e riascoltare le sue canzoni come sono nate. Una cosa è certa, se mai nel 2011 Bob decidesse di fare un’altra serie di concerti, io ci sarò, disposto come al solito a sforzarmi di capirlo ed arrivare alla conclusione che forse “non c’è niente da capire”
Sapendo che non gli farà piacere gli auguro: Buon Compleanno!
Che, ovviamente, non festeggerà il prossimo 24 maggio.
Accantonata la presunzione di conoscere assai bene il cantautore di Doluth (ho imparato l’inglese traducendo le sue canzoni e tentando di capire cosa volesse dire nei suoi testi) mi sono “apparecchiato” all’indigesto desco sonoro che anche questa volta ci ha preparato. Sia chiaro, lo definisco indigesto perché molto difficile da digerire, ma allo stesso tempo il suo concerto rimane comunque una prelibatezza che va assaporata con cautela (come la mitica pizza fritta che si mangia a Napoli, serial killer a piede libero dei fegati più sani, ma talmente “buona da morire”).
In perfetta sintonia con il protagonista, anche io mi concedo delle stranezze e comincio la cronaca dalla performance dalla fine, volendo immediatamente fornire un primo dato che è sicuramente sfuggito a tutti i presenti (quelli di Roma, quelli dei concerti passati ed anche quelli dei concerti futuri): i nomi dei musicisti che formano la band. Bob, in momento di grande magnanimità li ha presentati, ma ha così masticato i cognomi da rendere indecifrabile la relativa codificazione. Sul palco, quindi: Tony Garnier (bass); George Recile (drums); Stu Kimball (rhythm guitar); Denny Freeman (lead guitar) e Donnie Herron (violin, banjo, electric mandolin, pedal steel, lap steel). Un manipolo di veri “eroi” che, a fronte di un cospicuo guadagno, si confrontano da vicino con l’ostico Bob che, come è nel suo DNA, è capace di non scambiare una parola con i suoi compagni di viaggio per giorni e giorni. Costretti ad un look da man in black con obbligo di cappello, perché al band leader i cappelli sono sempre piaciuti, si barcamenano con maestria attraverso un canzoniere meraviglioso proposto con arrangiamenti in perfetto stile country rock, infestati dalla debordante personalità di un condottiero che suona una tastiera a modo suo (non essendo un tastierista), la chitarra a modo suo (non essendo un chitarrista) e canta le canzoni a modo suo (non essendo un cantante). Tutto quadra quando, in qualche momento, i valenti session man rimangono da soli, ma le cose complicano (e molto) quando Bob prende in mano la situazione e spariglia tutto.
Che Dylan sia famoso per le “rivisitazioni” che fa delle sue canzoni è un fatto noto da sempre, ma con il passare del tempo la fanatica pratica di “non far capire che canzone” sta suonando è stata portata all’estremo. Il titolo ideale di questa serie di concerti, a mio avviso, è: “Bob Dylan Tour Quiz”. Se Bob voleva vincere la sfida con il suo pubblico, questa volta ci è riuscito alla grande: decodificare canzoni come “Just Like A Woman”, “Desolation Row”, “Ballad Of A Thin Man”, “Like A Rolling Stone” o “Blowin' In The Wind” è stata un’impresa da “gocce di sangue alle tempie”. I ritmi? Cambiati. Le stesure dei brani? Cambiate. Le melodie? Cambiate. Se si aggiungono frasi sbiascicate, parole borbottate e sillabe sgranocchiate, anche capire i testi è diventato un cimento impossibile.
Tutto questo potrebbe far pensare ad un giudizio negativo sull’esibizione del sessantottenne cantautore americano ed, invece, no. Chi ama Dylan a prescindere da Dylan stesso che non ha fatto mai nulla per esserlo, anzi ha cercato in tutti i modi, fin dagli inizi della sua carriera, di demolire il suo mito, non può che essere soddisfatto di trovare il suo “mito” più in forma che mai, ostinatamente fedele a se stesso, esageratamente criptico e sfrontatamente conforme ad uno stile che non ha mai voluto compiacere il suo pubblico.
C’è un modo per rimettere le cose a posto e continuare a considerare Bob Dylan uno dei più grandi artisti del Novecento: assistere ad un suo concerto, faticare oltremodo a capirlo, tornare a casa e prendere i vecchi dischi e riascoltare le sue canzoni come sono nate. Una cosa è certa, se mai nel 2011 Bob decidesse di fare un’altra serie di concerti, io ci sarò, disposto come al solito a sforzarmi di capirlo ed arrivare alla conclusione che forse “non c’è niente da capire”
Sapendo che non gli farà piacere gli auguro: Buon Compleanno!
Che, ovviamente, non festeggerà il prossimo 24 maggio.
mercoledì 15 aprile 2009
venerdì 10 aprile 2009
In prima mondiale "Beat Bop" di Corvini e Saitto
Auditorio Parco della Musica
sala Sinopoli
Domenica 12 Aprile 2009
ore 18.00
Da delle nuove idee nascono nuovi linguaggi. E’ successo nel jazz con il Be Bop e nella letteratura con la Beat Generation e dopo più di quaranta anni questi linguaggi continuano a sfoggiare la loro essenza di energica libertà. Il titolo dichiara con chiarezza l’intento dello spettacolo che associa, come filosoficamente è accaduto nel passato, i due linguaggi per realizzare un inedito spettacolo multidisciplinare costituito da sette “movimenti”, sette “sentimenti”, sette “colori” e sette “composizioni”, all’insegna di una naturale modernità. La voce e la teatralità di Massimo Venturiello si fondono con l’energia espressiva dei sax di Maurizio Giammarco e tutte e due si integrano nelle avvolgenti sonorità della PMJ Orchestra.
L’Auditorio Parco della Musica
presenta
BEAT-BOP – Una libera associazione d'idee
di Mario Corvini e Alfredo Saitto
con
Massimo Venturiello
sax solista: Maurizio Giammarco
e la PMJ Orchestra
Musiche originali e arrangiamenti: Mario Corvini
Testi e regia: Alfredo Saitto
Aiuto regia: Simone Pescatore
mercoledì 8 aprile 2009
Simona superstar TV? Preferisco Vanna Marchi
Presuntuosa e megalomane:
giù le mani dalla musica!
giù le mani dalla musica!
"In questo periodo ci sono stati attacchi contro contro di me. Non ho mai risposto. Ho sempre pensato che le polemiche, se non le alimenti, si spengono da sole, siccome, questa volta, le polemiche non si spengono da sole, stare sempre zitta zitta alla fine rischia di farti passare da cretina". Questa dichiarazione l’ha rilasciata la discussa Ministro Gargagna dopo l’ennesima campagna denigratoria nei suoi confronti?
No.
"Quelli di Mediaset devono essere parecchio nervosi per aggredire con strategie di questo tipo. Oggi a Mediaset si controprogramma e basta. Attualmente l'unico canale che sperimenta veramente è Raidue". E’ il fiero commento del neo Direttore Generale della Rai?
No.
"A volte penso che a Mediaset non abbiano mai digerito del tutto il mio passaggio alla Rai, ma è chiaro che, con i miei programmi, ho portato in Rai pubblicità e sponsor. E, poi, attaccare me è abbastanza facile: sono un battitore libero". E’ il frammento di una vecchia intervista del provocatore (indimenticato) Gianfranco Funari?
No.
“Spesso capita che il tuo nome venga messo in mezzo. Soprattutto quando non hai protezioni. La politica mi fa paura, la conosco poco e non mi piace. Sto a Milano apposta. A Roma ogni sottosegretario dice la sua". E’ la piccata risposta di uno spregiudicato finanziere d’assalto in odore di avvisono di garanzia?
No.
"Penso che il discorso sull'Aids sia stato male interpretato. Non posso pensare che il Santo Padre abbia detto una cosa del genere. Se così fosse, sarebbe veramente grave". E’ il pacato sfogo di un laico convinto come Marco Pannella?
No.
Sono tutti "virgolettati" tratti da un'intervista che la Simona nazionale ha rilasciato a 'Vanity Fair'. La matura giovanotta non si contiene e parla, parla, dice, catechizza e parla, parla di tutto e su tutti. Ed il paradosso è che c'è pure più di qualcuno che la sta anche a sentire.
Se dovessi prendermela con tutti i personaggi della televisione italiana che non mi piacciono e che considero dei "miracolati" comunque totalmente privi di talento, dovrei passare la giornata a scrivere articoli pepati e critici. Ma, fortunatamente, ho altro da fare. Ma alla "sguaiata" Simona Ventura ho voluto dedicare qualche minuto del mio tempo. Poco mi interessa di quello che fa in tv. I suoi programmi non fanno parte del mio palinsesto privato e del suo prodotto per il "piccolo schermo" ne faccio beatamente a meno.
Una cosa, però, non mi va proprio giù: non entro in merito alla inconsistenza di un programma come "X Factor", ma il "colpo di grazia" è inferto dalla stupidità critica del giudice Simona. Nessuno le ha mai detto che lei, di musica, non capisce un fico secco? Maledico il momento in cui le hanno affidato il ruolo di giudice che, come risultato, produce un fiume di interventi critici in ambito musicale privi di qualsiasi fondamento tecnico. La Ventura "spara" frescacce in libertà. Che pena mi fanno i cantanti in gara obbligati a fare buon viso a cattivo gioco (ne vale la lora permanenza nel programma). "Che emozione mi hai dato", oppure "La tua voce manca di emozione", o anche "Hai regalato emozioni a go go", e via via co "Emozioni qua", "Emozioni su", "Emozioni a destra... sotto... sopra". Da un frutto secco non si può spremere neanche una goccia di succo, ma è possibile che la "Vanna Marchi di RaiDue" non abbia la modestia, il pudore, un minimo di autocritica per farsi scrivere dei testi che abbiano un senso e che non arrechino altri danni all'universo musica che non sta passando un bel momento?
Cara Ventura, giù le mani dalla musica, dal calcio, dalla politica, dal Papa, dalla letteratura, dalla poesia, dalla cultura e dall'arte in genere e occupati soltanto di quello che conosci: il gossip.
Cara Ventura, non provi un po' d'imbarazzo quando le spari grosse? Possibile che il "potere catodico" offuschi qualsiasi capacità di giudizio nei propri confronti?
Cara Ventura, visto che tutti quelli che ti frequentano non hanno l'interesse, la voglia o la capacità di dirti realmente le cose come stanno, prendi questo mio sfogo (totalmente disinteressato) e prova a riflettere. Sono certo che, almeno un poco, migliorerai.
domenica 5 aprile 2009
Ecco la scaletta in anteprima di "BEAT - BOP"
di Mario Corvini e Alfredo Saitto
7 note 7 sentimenti 7 colori dell'arcobaleno 7 movimenti 7
Introduzione - Luci bianche
Un "frammento" di Gary Snyder
Prologo 1° movimento: la gioia (Xin)
"La fertilità della terra"
(di Corvini/Saitto)
1° movimento – Luci colore rosso
Un "frammento" da "Spirito"
di Gregory Corso
Prologo 2° movimento: la collera (Nu)
"Clown with Brain Metredina"
(di Corvini/Saitto)
2° movimento – Luci colore arancione
Un "frammento"
di William Seward Burroughs
Prologo 3° movimento: l'inquetudine o abbattimento (You)
"Plundered the Louvre"
(di Corvini/Saitto)
3° movimento – Luci colore giallo
Un "frammento" di Gregory Corso
Prologo 4° movimento: la preoccupazione o pensiero ossessivo (Si)
“Poesia e Paradiso”
(di Corvini/Saitto)
4° movimento – Luci colore verde
da "On the Road"
di Jack Keruac
Prologo 5° movimento: la tristezza (Bei)
"Other Road"
(di Corvini/Saitto)
5° movimento – Luci colore azzurro
Un "frammento"
di William Burroughs
Prologo 6° movimento: la paura (Kong)
"Can Be Resolved"
(di Corvini/Saitto)
6° movimento – Luci colore indaco
Un "frammento" di Diane Di Prima
Prologo 7° movimento: il terrore o panico (Jing)
"The Departed"
(di Corvini/Saitto)
7° movimento – Luci colore violetto
Finale - Luci bianche
7 note 7 sentimenti 7 colori dell'arcobaleno 7 movimenti 7
Introduzione - Luci bianche
Un "frammento" di Gary Snyder
Prologo 1° movimento: la gioia (Xin)
"La fertilità della terra"
(di Corvini/Saitto)
1° movimento – Luci colore rosso
Un "frammento" da "Spirito"
di Gregory Corso
Prologo 2° movimento: la collera (Nu)
"Clown with Brain Metredina"
(di Corvini/Saitto)
2° movimento – Luci colore arancione
Un "frammento"
di William Seward Burroughs
Prologo 3° movimento: l'inquetudine o abbattimento (You)
"Plundered the Louvre"
(di Corvini/Saitto)
3° movimento – Luci colore giallo
Un "frammento" di Gregory Corso
Prologo 4° movimento: la preoccupazione o pensiero ossessivo (Si)
“Poesia e Paradiso”
(di Corvini/Saitto)
4° movimento – Luci colore verde
da "On the Road"
di Jack Keruac
Prologo 5° movimento: la tristezza (Bei)
"Other Road"
(di Corvini/Saitto)
5° movimento – Luci colore azzurro
Un "frammento"
di William Burroughs
Prologo 6° movimento: la paura (Kong)
"Can Be Resolved"
(di Corvini/Saitto)
6° movimento – Luci colore indaco
Un "frammento" di Diane Di Prima
Prologo 7° movimento: il terrore o panico (Jing)
"The Departed"
(di Corvini/Saitto)
7° movimento – Luci colore violetto
Finale - Luci bianche
sabato 4 aprile 2009
“Beat Bop – Una libera associazione d’idee
Da delle nuove idee nascono nuovi linguaggi. E’ successo nel jazz con il Be Bop e nella letteratura con la Beat Generation e dopo più di quaranta anni questi linguaggi continuano a sfoggiare la loro essenza di energica libertà. Il titolo dichiara con chiarezza l’intento dello spettacolo che associa, come filosoficamente è accaduto nel passato, i due linguaggi per realizzare un inedito spettacolo multidisciplinare costituito da sette “movimenti”, sette “sentimenti”, sette “colori” e sette “composizioni”, all’insegna di una naturale modernità. La voce e la teatralità di Massimo Venturiello si fondono con l’energia espressiva dei sax di Maurizio Giammarco e tutte e due si integrano nelle avvolgenti sonorità della PMJ Orchestra.
L’Auditorio Parco della Musica
presenta
BEAT-BOP – Una libera associazione d'idee
di Mario Corvini e Alfredo Saitto
con
Massimo Venturiello
sax solista: Maurizio Giammarco
e la PMJ Orchestra
Musiche originali e arrangiamenti: Mario Corvini
Testi e regia: Alfredo Saitto
Aiuto regia: Simone Pescatore
presenta
BEAT-BOP – Una libera associazione d'idee
di Mario Corvini e Alfredo Saitto
con
Massimo Venturiello
sax solista: Maurizio Giammarco
e la PMJ Orchestra
Musiche originali e arrangiamenti: Mario Corvini
Testi e regia: Alfredo Saitto
Aiuto regia: Simone Pescatore
Yesterday -1965. La canzone perfetta
Donzelli Editore
Collana: Virgola
pp. VI-170,
con 16 ill. a colori
e in b/n fuori dal testo
2008
L. 34.852 € 18,00
ISBN 9788860363015
Yesterday può essere definita una canzone perfetta. Una compiuta sintesi tra melodia, testo, semplicità espressiva, immediatezza del messaggio. E infine la voce di Paul: intensa, accorata, convinta. Paul McCartney ha dichiarato di averne ideato la musica in sogno; come convenzione sonora, durante la composizione della musica, utilizzò le parole «Scrambled eggs, Oh, baby, how I love your legs» (uova strapazzate, Oh, baby, quanto mi piacciono le tue gambe), per poi sostituirle con quelle di Yesterday nella versione definitiva. Il testo finale ha qualcosa di magico, di miracoloso: trattare il tema del passaggio dal tempo della gioventù a quello della maturità in appena due minuti (tale è la durata della canzone) e, come è stato scritto, con «chiarezza universale», non è cosa da poco. Da dove venivano quelle parole, quella narrazione di amori trovati e perduti? In pochi oggi ricordano Jane Asher, la bellissima e ricchissima attrice che ne fu la musa. Il testo di Yesterday fu scritto infatti durante una vacanza di Paul e Jane in Portogallo. Yesterday è la canzone con più cover nella storia, con oltre tremila versioni, ed è indiscutibilmente la più popolare del mondo. Si pensi che fu trasmessa per radio più di sei milioni di volte nei soli Stati Uniti e nel solo periodo della pubblicazione del singolo. Mai come in questo caso, la storia di una canzone è parte integrante della storia della cultura, del costume, dell’identità di intere generazioni, ai quattro angoli della terra.
Alfredo Saitto è tra i più autorevoli esperti musicali italiani. Giornalista, saggista, autore televisivo, musicofilo e ideatore di spettacoli multimediali, è un attivo operatore culturale e un attento studioso delle politiche dell’audiovisivo e dei media. Appassionato dei Beatles, ne è considerato in Italia tra i massimi cultori.
Collana: Virgola
pp. VI-170,
con 16 ill. a colori
e in b/n fuori dal testo
2008
L. 34.852 € 18,00
ISBN 9788860363015
Yesterday può essere definita una canzone perfetta. Una compiuta sintesi tra melodia, testo, semplicità espressiva, immediatezza del messaggio. E infine la voce di Paul: intensa, accorata, convinta. Paul McCartney ha dichiarato di averne ideato la musica in sogno; come convenzione sonora, durante la composizione della musica, utilizzò le parole «Scrambled eggs, Oh, baby, how I love your legs» (uova strapazzate, Oh, baby, quanto mi piacciono le tue gambe), per poi sostituirle con quelle di Yesterday nella versione definitiva. Il testo finale ha qualcosa di magico, di miracoloso: trattare il tema del passaggio dal tempo della gioventù a quello della maturità in appena due minuti (tale è la durata della canzone) e, come è stato scritto, con «chiarezza universale», non è cosa da poco. Da dove venivano quelle parole, quella narrazione di amori trovati e perduti? In pochi oggi ricordano Jane Asher, la bellissima e ricchissima attrice che ne fu la musa. Il testo di Yesterday fu scritto infatti durante una vacanza di Paul e Jane in Portogallo. Yesterday è la canzone con più cover nella storia, con oltre tremila versioni, ed è indiscutibilmente la più popolare del mondo. Si pensi che fu trasmessa per radio più di sei milioni di volte nei soli Stati Uniti e nel solo periodo della pubblicazione del singolo. Mai come in questo caso, la storia di una canzone è parte integrante della storia della cultura, del costume, dell’identità di intere generazioni, ai quattro angoli della terra.
Alfredo Saitto è tra i più autorevoli esperti musicali italiani. Giornalista, saggista, autore televisivo, musicofilo e ideatore di spettacoli multimediali, è un attivo operatore culturale e un attento studioso delle politiche dell’audiovisivo e dei media. Appassionato dei Beatles, ne è considerato in Italia tra i massimi cultori.
"Beat Bop - Una libera associazione d'idee"
Nella Sala Sinopoli del Parco della Musica di Roma, il 12 aprile (giorno di Pasqua) alle ore 18.00, debutta il lavoro di Mario Corvini (musica e arrangiamenti) e Alfredo Saitto (testi e regia) dedicato ai linguaggi del Be Bop e della Beat Generation.
Sul palco: Massimo Venturiello (voce recitante), Maurizio Giammarco (sax solista) e la PMJO Parco della Musica Jazz Orchestra.
Dalle nuove idee nascono nuovi linguaggi. E' successo nel jazz con il Be Bop e nella letteratura con la Beat Generation e ancor oggi i due linguaggi continuano a trasmettere la loro carica dirompente. Come è già stato in passato, Beat Bop collega i due mondi per realizzare un inedito spettacolo multidisciplinare costruito, questa volta, da sette "movimenti", sette "sentimenti", sette "colori" e sette "composizioni", all'insegna di una naturale modernità.
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